Diario

All You Can Live

Alzi la mano chi vorrebbe essere ancora in vacanza in questo momento.

Non posso vedervi, ma sento di essere in buona compagnia. 

Quanti di voi stanno ancora pensando a quel magico momento vissuto al mare con la propria dolce metà? Quanti sognano ad occhi aperti in ufficio la polenta concia mangiata in quel rifugio di montagna sperduto tra sentieri e caprioli? E quanti ancora credono di sentire il rumore dell’aereo che decolla prima di rendersi conto che si tratta solamente della lavatrice ripiena di panni sporchi, residui di sabbia e granelli di felicità? 

Lo so. Adesso che siamo tornati a casa e ci rendiamo conto di quanto siano stati preziosi certi momenti abbiamo voglia di buttarci sotto al primo autobus di linea; ma non temete, ce ne dimenticheremo molto presto.

Nella società dell’All You Can Eat in cui viviamo è facile trovare qualcosa di buono, bello e che ci soddisfi a poco prezzo. Siamo abituati ad avere tutto, tanto e subito. Fateci caso: dopo un paio di cene al giapponese, non vi sentite destabilizzati quando vi trovate in un ristorante normale in cui l’antipasto viene servito rigorosamente prima di tutto il resto? Abbiamo letteralmente un solo piatto davanti a noi. Uno alla volta. E riusciamo persino a distinguerne il sapore. Pazzesco.

Ormai siamo abituati ad accontentarci, a puntare più sulla quantità che sulla qualità e non lo facciamo solo con il cibo. Quando organizziamo qualcosa, sappiamo che, nella malaugurata ipotesi in cui dovesse andare male, abbiamo altre mille alternative con cui rimediare. Il che è incredibilmente rassicurante, ma a volte ci ruba un pizzico di magia.

Avete mai pensato a quante volte i momenti migliori della vostra vita siano stati totalmente casuali? O frutto di un disguido, di un programma andato a rotoli o di una buone dose di sfortuna?

Spesso ci dimentichiamo di vivere il momento, bello o brutto che sia, e andiamo alla disperata ricerca di una soluzione facile e veloce che possa tamponare l’errore, così da non perdere l’occasione, la faccia e i follower su Instagram. 

Eppure le cose belle capitano proprio quando meno ce lo aspettiamo, quando smettiamo di programmare ogni singola mossa, quando non ci accontentiamo più della quantità e ci arrendiamo al caso.

Come quando sei in spiaggia di notte cogli amici dopo una serata al ristorante e un paio di bicchieri di troppo. È l’ultimo giorno prima della partenza, ormai la vacanza è finita e tu non sai se hai fatto tutto quello che avresti voluto, se certe cose avrebbero potuto essere gestite diversamente, se sei stata troppo fiacca, troppo attiva, troppo nervosa o troppo e basta, ma sai di non poterci fare più nulla. Sei lì, su quel telo sporco di sabbia e salsedine, con le frange che ti si appiccicano alle gambe e lo sguardo rivolto verso il mare mentre stringi tra le mani un bicchiere di plastica con del Bonarda aperto da troppo. Senti le voci degli altri alle tue spalle che cantano una vecchia canzone di Natale e discutono delle costellazioni che a malapena si distinguono nell’oscurità, quando, all’improvviso, scorgi le vostre ombre sul bagnasciuga: un ammasso di teste che si fondono le une con le altre e di braccia che si alzano verso il cielo a cercare la Stella Polare o il lampione più vicino, non lo sai, non hai seguito il discorso. Guardi le onde che cancellano la vostra immagine sulla sabbia, per poi ritirarsi e lasciarla apparire di nuovo, più confusa e più sfumata di prima, e pensi che quel momento rimarrà impresso per sempre su quella spiaggia. Poi, d’un tratto, cala il silenzio e qualcuno ti prende la mano e ti porta lontano dagli altri; con l’acqua che vi sfiora le caviglie ti guida verso la spiaggia vicina e ti fa sedere su un lettino freddo e ruvido. Senti la plastica che ti si conficca nella pelle nuda mentre lui ti parla dal lettino di fronte, ti stringe le mani, ti guarda. Si inginocchia davanti a te. Tu sbatti le palpebre e realizzi che sta accadendo proprio in quel momento, che sta succedendo davvero e non sai come sia possibile, adesso, ti chiedi, qui, così. Aiuto. Vorresti fermarlo, scuoti la testa e ti porti le mani al viso: è già successo. Ti butti, ti lasci andare e lo fai.

È una sorpresa, una deviazione improvvisa, un blackout nel mezzo di una festa, una foto col flash nel buio della notte. E in un attimo ci sei, sei lì, smetti di correre dietro ai pensieri e vivi il presente, quell’attimo inaspettato eppure così gradito. Lo vivi, lo assapori.

Ed è bellissimo.

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Diario

So much for my happy ending

Vi è mai capitato di sentirvi bloccati? Come se ci fosse qualcosa che vi impedisce di muovervi come vorreste, sia fisicamente, sia emotivamente. Come in quegli incubi in cui provate a correre, ma, nonostante tutti i vostri sforzi, non ci riuscite.

Ecco, a volte mi capita di sentirmi così e mi sembra quasi di avere una sorta di tappo sulla testa che mi spinge verso il basso. Mi sento come uno spumante a Capodanno, dimenticato sull’ultimo ripiano del frigorifero in attesa di essere stappato per il brindisi di mezzanotte, mentre tutti sono fuori a vedere i fuochi d’artificio. Non è una bella sensazione; e non mi riferisco solo al Capodanno, che è già piuttosto fastidioso di per sé senza che ci si mettano pure i brindisi mancati, parlo proprio di  interi periodi in cui mi sento totalmente incapace di prendere una direzione e seguirla fino in fondo. 

Confusi? Io sì. 

Ultimamente, oltre ad essere bloccata, mi sento anche particolarmente distratta. Faccio fatica a concentrarmi e mi capita di interrompermi nel bel mezzo di un’attività. La mia soglia dell’attenzione si è abbassata così tanto da non raggiungere i centimetri necessari per fare un giro sul Bruco Mela al Luna Park. Che nostalgia del Luna Park! A giugno ero solita organizzare una serata sulle giostre qui nella mia città, ma date le restrizioni di quest’ultimo periodo non mi è stato possibile. Che poi, bello questo periodo, eh? Passeggiamo per le strade con l’obbligo di portare la mascherina, ma se si mangia qualcosa si può stare tranquillamente senza: quindi, se la mia amica mangia un gelato può respirare liberamente, mentre io boccheggio accanto a lei per le vie del centro. E poi una non deve sentirsi confusa. Se mi siedo in un bar in piazza devo stare a un metro di distanza dagli altri tavoli, ma quello che passeggia per la strada con la fidanzata può sfiorarmi il gomito e farmi rovesciare il mio preziosissimo Crodino sulla gonna come se niente fosse. Passi per la gonna, ma il Crodino è talmente poco che ogni goccia è preziosa. Me lo dite perché devono venderlo in bottiglie così piccole? Se stesse a me decidere, darei la possibilità al cliente di scegliere la quantità desiderata per qualsiasi ordinazione. Vuoi un mini Mojito? Ecco due foglie di menta e mezzo cubetto di ghiaccio in un bicchiere da amaro. Vuoi uno shottino di tè alla pesca? Ecco una selezione di marche in commercio: Nestea, Estathè, San Benedetto. Vuoi una tanica di caffè? Prendi pure il barile che sta dietro al bancone e usalo anche come sgabello. Che problema c’è? L’unico vero problema, forse, sarebbe quello di non far fallire l’attività nel giro di un mese. Un po’ come le farfalle che vivono mediamente una trentina di giorni, fatta eccezione per alcune specie particolari. Io adoro le farfalle. Una volta, quando ero bambina, ho deciso di andare a visitare “La Casa delle Farfalle”; ero in vacanza al mare coi miei genitori e durante un pomeriggio in spiaggia ho sentito pubblicizzare questa specie di serra. Inutile dire che è stato meraviglioso! Ero in uno dei miei posti del cuore e ogni volta che ci torno ripenso a quel giorno. Dovete sapere che sono una persona molto abitudinaria, se mi affeziono a un luogo amo tornarci ogni volta che posso. Non che non ami viaggiare e scoprire posti nuovi, anzi! Tempo fa mi avevano proposto di partecipare a un viaggio all’estero, ma poi non se n’è fatto più nulla. Tipico. Lasciate che vi dica una cosa, al mondo esistono solo due tipi di persone: quelle che portano a termine qualsiasi progetto, costi quel che costi, e quelle che

frammenti

Frammenti – Io non amo solo te

« Io non amo solo te » 

Siamo soli in mezzo alla via. L’aria di montagna mi pizzica il naso mentre i lampioni alle nostre spalle iniziano ad accendersi uno a uno. Una luce arancione si diffonde sopra le nostre teste creando un’atmosfera calda e romantica quasi a volersi prendere gioco di quello che sta accadendo proprio in questo momento. Come si fa a rimanere indifferenti dinanzi a una tale magia? Sembra di essere su un lungomare in piena estate, come quando hai tredici anni e cammini a pochi passi di distanza dai tuoi genitori perché ti senti troppo grande per andare ancora in vacanza con loro, ma sei ancora troppo piccola per partire da sola, e ripensi a quel ragazzo che hai visto in spiaggia domandandoti se anche lui starà pensando a te. Solo che ci sono trenta gradi in più e indossi tre paia di calze in meno. Cammini e sogni il primo bacio, il primo amore. Quando tutto sembra ancora possibile. Quando ancora non sai che amare, spesso, significa anche soffrire.

Ma che sto facendo? Mi perdo in pensieri filosofici sull’amore quando ho appena spezzato il cuore al ragazzo che mi sta davanti? Come ho potuto uscirmene con una frase simile in un momento come questo? Sono la persona più insensibile, più egoista e menefreghista che esista su questo pianeta. Avrebbe dovuto mollarmi quando ne aveva l’occasione, quando, anni fa, gli ho detto che non ero più sicura di voler stare con lui perché pensavo a un altro. Quando abbiamo capito che tra noi non sarebbe mai più stato lo stesso.

Sposto il peso da un piede all’altro nella speranza che lui non se ne accorga e non si sciolga dal nostro abbraccio. Non potrei sopportare di guardarlo in faccia adesso. So che non dovrei sentirmi così, ho solo detto la verità, una verità che entrambi conosciamo da molto tempo. Ma come ho potuto farlo adesso? Un momento fa stavamo ridendo di quell’orrendo panino che ho ordinato per merenda, e adesso eccoci qui, in silenzio, abbracciati in mezzo a una strada, schiacciati dal peso delle mie parole.

All’improvviso sento venire meno la pressione sulla mia schiena e le sue braccia scivolano giù fino alle mie mani avvolte in un paio di guanti rosa pallido. I guanti che mi ha regalato lo scorso Natale. Alzo lentamente lo sguardo e incontro i suoi occhi scuri che mi scrutano senza lasciar trapelare emozioni. Apre la bocca, lo sguardo fisso nel mio, e una nuvoletta di condensa rimane sospesa tra i nostri volti a pochi centimetri di distanza: 

« Lo so ».

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5 Motivi per amare San Valentino

14 Febbraio, il fatidico giorno è arrivato.

Che siamo single, felicemente accoppiati, o in una relazione complicata con il nostro frigorifero, ogni anno buona parte della popolazione trova il modo di esprimere al meglio il proprio odio anticonformista nei confronti della festa più consumistica del calendario. Me compresa.

Se siete stufi di mettere al bando rose, cuori, bigliettini romantici e maître chocolatier di fama mondiale per vestire i panni dell’opinionista di turno, ecco la lista che fa al caso vostro: trasgressiva, sexy e naturalmente.. dolce!

CINQUE BUONI, DELIZIOSI, CALORICI MOTIVI PER AMARE SAN VALENTINO:

1 – Cioccolato ovunque

2 – Cibo gratis da parte del fidanzato che ti regala la cena, da parte della mamma che ti rifila i cioccolatini che le ha preso papà, da parte dell’amica single che cucina una torta per sè e si sente in colpa a mangiarla tutta da sola, da parte dello sconosciuto che sbaglia indirizzo e consegna una cassapanca in legno massello ripiena di bignè al cioccolato a te invece che alla vicina..

3 – Fast Food deserti per un romantico tête-à-tête con la salsa barbecue sul divanetto più comodo della sala

4 – Confezioni di sushi scontate al 50% a partire dalle 23.00

5 – Cioccolato ovunque. Ops, già detto? Ok, dolci di pasta di cacao ad ogni angolo di strada

E adesso non ci resta che gettare via la corazza da duri, smettere di fare resistenza e dare finalmente inizio alle danze senza il minimo senso di colpa!

Del resto, come diceva Oscar Wilde: “L’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi”.

Coraggio, dunque! Le lasagne della nonna mi attendono.

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Oh no, ci risiamo.

Oh no, ci risiamo.

Vi do ufficialmente il benvenuto sul mio primo blog!

Secondo. 

E va bene, terzo. 

Due anni fa si è concluso l’eterno tira e molla tra me e il mio ex fidanzato e così anche la mia prima ed entusiasmante avventura di blogger (collaboravamo al progetto: io scrivevo, lui si dilettava con la fotografia.)

Prima di tutto va detto che ciò che mi contraddistingue da sempre sono la passione per la scrittura e una spiccata tendenza a drammatizzare in qualsiasi situazione. Ora, dovete sapere che quel rammollito del mio ex non mi ha nemmeno dato la soddisfazione di chiudere una storia di otto anni con la scenata che avevo sempre sognato, magari nel parcheggio sotto casa, di notte, coi vicini che incitano alla rissa e il mio migliore amico che mi accoglie in lacrime tra le sue braccia chiedendomi di sposarlo ora che sono finalmente libera. Così ho deciso di soddisfare il mio bisogno di dramma cancellando il mio vecchio dominio con un semplice clic, un po’ come ha fatto lui quando ha inviato il messaggio in cui mi diceva che tra noi era finita. Un gesto tanto innocuo da passare inosservato ai più, quanto devastante per la mia autostima al punto da scatenare una crisi esistenziale e una dipendenza da dolcetti al cocco dell’Ikea, gli unici dessert senza lattosio capaci di colmare il vuoto lasciato dalla cosa più preziosa che avessi: il mio blog. (No, non il mio ex. Lui non ha mai accettato la mia relazione con il foglio di carta; la definiva una cosa sporca. Maledetto inchiostro che non viene via dalle mani neanche dopo trenta lavaggi). 

Ed ora eccoci qua, a pochi anni di distanza, a zompettare con i polpastrelli sulla tastiera del pc cercando di non farmi sentire dalla parte più timorosa di me. Da quella prima esperienza di blogger e dai successivi tentativi ho imparato molto e adesso sono pronta a buttarmi. Non voglio più starmene buona e zitta in un angolino senza farmi sentire da nessuno vivendo nel terrore di commettere gli stessi errori di un tempo.

Voglio farne di nuovi.